Molti lettori mi hanno scritto a proposito di Stemcell Therapeutics, in particolar modo riguardo alla volontà di acquistare il titolo ma di aver avuto difficoltà nel trovarlo o farlo censire. Il motivo di tanto affanno è dovuto al fatto che la società ha cambiato nome o, per meglio dire, ha scelto di virare su quello della compagnia che ha portato il maggior contributo al potenziale futuro, dopo che anni fa Stemcell Therapeutics e Trillium si sono unite in matrimonio. Hanno scelto di tenere il nome della sposa e questo ha decisamente senso, visto che l’aspetto più interessante della nuova compagnia non ha nulla a che vedere con le cellule staminali, ma con i ben più in voga checkpoint inibitori.
Abbiamo già visto in passato, come il sistema CD47/SIRPα sia implicato nel blocco della risposta immunitaria. L’antigene CD47 è iper-espresso sulla superficie di molte cellule tumorali sia solide che liquide e si lega ai macrofagi tramite SIRPα (CD172a o SHPS-1) causando l’incapacità da parte di questi ultimi di fagocitare la cellula malata. I macrofagi, in termini più semplici, perdono la capacità di difendere il nostro organismo dall’invasore, il quale sfrutta un meccanismo per mandare un segnale che può essere sintetizzato così: non mangiarmi, do not eat me. Bloccare l’antigene CD47 significa dare la possibilità all’organismo di difendersi, togliendo alla cellula tumorale un meccanismo di difesa particolarmente efficace. CD47 è, come dicevo prima, espresso in una moltitudine di neoplasie: dalla leucemia mieloide acuta (AML) al linfoma diffuso a larghe cellule B (DLBCL) fino al mieloma multiplo (MM) per quanto riguarda i tumori del sangue. Fra i tumori solidi si può trovare in quello alla prostata, al fegato, al seno, al cervello e nel melanoma. Facile capire che riuscire a trattare in modo efficace e tollerabile attraverso l’intervento su qual bersagli aprirebbe le porte di mercati vastissimi.
Trillium sta portando avanti il proprio programma in modo duplice, sia impiegando la proteina di fusione come agente singolo, sia tastandola a livello preclinico in combinazione con altri agenti, probabilmente anti-CD20 ed anti-PD1. Siamo in fase acerba per quanto riguarda la sperimentazione, dato che i primi test su esseri umani sono previsti per la seconda metà del 2015, ma la compagnia ha cassa sufficiente per circa 3 anni, periodo durante il quale il valore del programma inizierà ad essere svelato.
Non sta ferma la concorrenza. Stanford inizierà a breve la propria sperimentazione in merito ad un anticorpo umanizzato anti-CD47 sotto l’egida del CIRM. Si tratta di una fase 1 nella quale l’anticorpo anti-CD47 viene dosato a due gruppi di pazienti, uno con soggetti affetti da AML e l’altro con pazienti affetti da diversi tumori solidi. Trillium inizierà concentrandosi solo su pazienti con AML ed avrà un ritardo di circa un anno, ipotizzando che la loro fase 1 inizi in 3Q15. Il gap non è enorme, trattandosi di composti in fase 1, ma la concorrenza è decisamente agguerrita, non tanto dal punto di vista numerico, visto che si parla di pochissime compagnie, quanto dal punto di vista della tecnologia messa in campo.
COMPAGNIA | STATO | INDICAZONE/NOTE |
TRILLIUM | PRE | AML E TUMORI SOLIDI |
STANFORD | PH1 | AML E TUMORI SOLIDI |
CELGENE | PRE | ANTI-CD47 DA INHIBRX |
NOVIMMUNE | PRE | NI1701 (ANTI-CD47 E ANTI-CD19) |
Come potete vedere oltre ai programmi già citati, nell’arena ci sono Celgene e Novimmune. Due approcci diversi. Celgene è entrata nella contesa attraverso un accordo con la privata Inhibrx che sembrerebbe valere attorno al mezzo miliardo di dollari, fra upfront e pagamenti al raggiungimento di particolari obiettivi. Sembra ci siano pochi dubbi circa la natura dell’investimento, dato che poco dopo aver siglato i documenti del caso Inhibrx ha depositato richiesta per un brevetto circa la composizione e l’impiego di un anticorpo anti-CD47.
Più singolare la scelta della svizzera Novimmune che punta su un anticorpo bispecifico anti-CD47 ed anti-CD19 chiamato NI1701. Sembra che gli sforzi della compagnia siano diretti nei confronti di indicazioni per le quali gli esistenti anticorpi abbiano cessato di essere efficaci ed il fatto che uno degli antigeni target sia CD19 fa ipotizzare che ci si rivolga primariamente soggetti rituximab refrattari. Non necessariamente quindi una minaccia totale per Trillium che punta a mercati di più ampio respiro, includendo tumori solidi fra i possibili candidati alla sperimentazione.
Il fatto che Celgene abbia deciso di puntare forte su questo tipo di farmaci è una prima validazione del meccanismo d’azione, aspetto certamente positivo in mancanza di dati sui quali ragionare.
Al momento quelli che sembrano essere primi tratti potenzialmente distintivi nei confronti della concorrenza sono due: il fatto che Trillium punta su una proteina combinante laddove gli altri scelgono un anticorpo (mono o bi-specifico che sia) e il fatto che la bassissima affinità con gli eritrociti sembra avallare l’ipotesi che il profilo di sicurezza del farmaco possa essere un elemento di vantaggio. Anche qui occorre attendere i risultati della sperimentazione su esseri umani, ma i dati presentati lo scorso AACR fanno ben sperare:
Ora, dai grafici qui sopra si ricavano due informazioni. Rispetto agli anticorpi usati come controllo l’anti-CD47 di Trillium si lega in modo quasi impercettibile ai globuli rossi, mentre lo fa in modo decisamente superiore alle cellule leucemiche. Quando Trillium però afferma che il vantaggio rispetto agli anticorpi anti-CD47 è evidente, dovrebbe sottolineare il fatto che il controllo non è costituito dai concorrenti di cui vi ho parlato poc’anzi, ma da anti-CD47 reperibili in commercio. Non lo nascondono, ma il messaggio è sibillino.
Detto questo, perché è importante che il farmaco non abbia affinità con gli eritrociti? Semplicemente perché nel sangue umano è espresso l’antigene bersaglio di Trillium e se il farmaco si legasse a questi antigeni il paziente soffrirebbe di tossicità ematiche che ne limiterebbero la possibilità di usufruire del farmaco, indipendentemente dall’efficacia di quest’ultimo. Inoltre, anche ammesso che la tossicità fosse gestibile, servirebbero dosaggi maggiori del farmaco per raggiungere il vero obiettivo, il che riproporrebbe il problema della tollerabilità.
Questo punto è fondamentale. Se verranno replicati questi dati anche in fase 1, metà dell’opera sarà compiuta. Al momento Trillium deve gestire anche tutto quello che ruota attorno a questo progetto. La situazione è sintetizzata dall’immagine qui sotto:
E’ lecito pensare che oltre al nome, altri cambiamenti debbano verificarsi da qui all’inizio della fase 1. Uno dei più probabili è che l’azienda cerchi di sbarcare sul Nasdaq, presumibilmente in concomitanza con un reverse split che diminuisca il numero di azioni in circolazione. Dovessi entrare ora sul titolo, probabilmente l’ipotesi di un R/S mi indurrebbe ad attendere. Per fortuna, avendole già in carico, almeno questo dubbio non mi appartiene.