Se pensate che la diatriba che coinvolge Abraxane e TH 302 sia l’unica relativa ai trattamenti per il cancro al pancreas, non conoscete la francese AB Science, Masitinib ed i cani di cui la compagnia si occupa. Se poi non vi interessano le compagnie europee, non vi interesserà nemmeno sapere che esiste la possibilità che AB Science veda approvato il proprio farmaco prima della concorrenza di Celgene (CELG) e Threshold (THLD).
Masitinib è il candidato principale della pipeline di AB Science ed è balzato agli onori della cronaca per aver fallito in fase 3 nel garantire una maggiore sopravvivenza in pazienti con carcinoma del pancreas in una terapia nella quale il farmaco era somministrato assieme a gemcitabina, ma con alcuni risvolti interessanti.
Ora, partire da uno studio da molti reputato fallito per cercare un’ipotesi di investimento è uno dei miei hobby preferiti. Certe volte, come nel caso di Celldex (CLDX) essere una voce fuori dal coro porta un sacco di quattrini. Il caso di Masitinib però è differente.
Quello che aggiunge pepe a questa vicenda poi, è che AB Science ha riportato dati stellari per due sottogruppi di pazienti, ma quello che aggiunge peperoncino e tutto il piccante che vi pare, è la conclusione a cui la compagnia è giunta per giustificare il fallimento: Masitinib (in combo con gemcitabina) non funziona quando gemcitabina da il suo meglio.
Masitinib in fase 3 ha fallito nel centrare l’endpoint primario o, per meglio dire, ha mostrato un trend positivo non confortato dalla statistica.
Masitinib, che i veterinari conoscono per via del fatto che da anni è impiegato per il trattamento di alcune forme tumorali nei cani, ha mostrato un leggero miglioramento nella sopravvivenza nei 348 pazienti arruolati a cui è stato somministrato assieme a Gemcitabina:
There was no significant change in the overall survival time of the patients (7.7 vs. 7 months, p=0.74), said the French drugmaker. But in a subgroup of patients with an undisclosed genetic biomarker which is thought to be indicative of aggressive disease progression, the orally administered tyrosine kinase inhibitor masitinib plus Gemzar significantly improved median overall survival vs. placebo plus Gemzar (11 vs. 5 months, p=0.000038). In a second subgroup of patients with a pain intensity level above an undisclosed threshold at baseline, the orphan drug plus Gemzar also significantly improved median overall survival vs. placebo plus Gemzar (8.1 vs. 5.4 months, p=0.01). These two independent patient populations represented 65% and 45%, respectively, of the overall population, according to AB Science.
AB Science quindi annunciò che l’EMA aveva accettato di prendere in esame una richiesta di approvazione per il trattamento del cancro al pancreas (adenocarcinoma) non resecabile sulla base dei dati ricavati dalla fase 3 proprio per quelle popolazioni con prognosi più infausta, ossia quella determinata dal biomarker che AB Science sostiene di aver individuato e quella per cui il dolore è superiore ad una certa soglia, sempre da loro determinata.
AB Science SA (NYSE Euronext – FR0010557264 – AB), a pharmaceutical company specializing in the research, development and commercialization of protein kinase inhibitors (PKIs), confirms the filing to EMA for the Marketing Authorization Application for masitinib in the treatment of pancreatic cancer.
Non è chiaro se questi aspetti fossero criteri specificati all’atto del disegno della fase 3, ma sarei pronto a scommettere sul no. Per meglio dire, sappiamo che il biomarker è spuntato durante la fase 3:
“To the best of our knowledge, this is the first time that new biological markers have been discovered during a phase III clinical trial. These markers are both specific to the drug being developed and associated with positive patient response,” said Didier Ritter, CEO, Skuldtech. “Faced with the “patent cliff” and a challenging economic context, the pharmaceutical industry is seeking new solutions for achieving successful phase III clinical trials, and also new vectors for growth. The concept of personalized medicine or personalization of treatments therefore represents a source of hope both for patients and the medical industry.”
Altra questione invece, la soglia del dolore. Anche qui, se l’indagine è puramente retrospettiva, il valore del dato diminuisce, indipendentemente dal p-value.
Abraxane, TH 302 e Masitinib.
Non mi risulta che il CHMP abbia mai dato parere favorevole ad un farmaco sulla base di valutazioni relative a sottogruppi di pazienti, ma ricordiamo anche che migliorare il comportamento di gemcitabina nei pazienti a cui si rivolge Masitinib si è dimostrato da sempre un compito troppo arduo per essere svolto.
Nel 2012 però, ben tre farmaci hanno reclamato il successo in questo campo: Abraxane, TH 302 e masitinib. Esiste anche un quarto concorrente, l’economica e controversa (in merito alla sua tollerabilità) FOLFIRINOX.
Il biomarker, ancora una volta, può cambiare tutto.
AB Science dopo aver annunciato i dati della fase 3 ed aver beneficiato in modo drammatico dei risultati nei due sottogruppi, ha rivelato di aver stretto una collaborazione con Skuldtech in merito alla realizzazione del test per individuare i pazienti che avrebbero beneficiato maggiormente del trattamento con Masitinib. Questo fatto, altro non fa che avvalorare la mia tesi in base alla quale la questione biomarker sia saltata fuori solo dopo aver analizzato i dati della fase 3. Ovvio che se il ragionamento sta in piedi, come indicherebbe il vantaggio di 6 mesi in termini di sopravvivenza ed il p-value di 0.000038, sarebbe un dettaglio di peso inferiore a quanto ci si possa immaginare.
Nessuno mi leva dalla testa che alla fine AB Science dovrà condurre un trial confermativo, ma l’ipotesi di un’approvazione condizionata e di uno studio di entità tutto sommato modesta e di veloce esecuzione potrebbe essere la soluzione ideale.
Se l’impiego di un biomarker portasse ad un’approvazione (di qualsiasi genere), cosa cambierebbe per lo scenario delle terapie in evoluzione?
Prima di dare uno sguardo ai dati di MPACT, lo studio di Abraxane, ricordiamo che in questo caso, sono due i vantaggi enormi a carico di Celgene. Il primo è proprio il peso che possiede il nome della compagnia, il secondo è (e più importante) che Abraxane viene già impiegato off-label per quella indicazione.
Vediamo i numeri però, più che altro per inquadrare la situazione:
[…] ABRAXANE® (paclitaxel protein-bound particles for injectable suspension) (albumin-bound) in combination with gemcitabine in treatment-naïve patients with metastatic pancreatic cancer demonstrated a statistically significant improvement in overall survival compared to patients receiving gemcitabine alone [(median of 8.5 vs. 6.7 months) (HR 0.72, P=0.000015)].
In the MPACT (Metastatic Pancreatic Adenocarcinoma Clinical Trial) study, ABRAXANE plus gemcitabine demonstrated a 59% increase in one-year survival (35% vs. 22%, p=0.0002) and demonstrated double the rate of survival at two years (9% vs. 4%, p=0.02) as compared to gemcitabine alone.
ABRAXANE plus gemcitabine also demonstrated a statistically significant improvement in key secondary endpoints compared to gemcitabine alone, including a 31% reduction in the risk of progression or death with a median progression-free survival (PFS) of 5.5 vs. 3.7 months (HR 0.69, P=0.000024) and an overall response rate (ORR) of 23% compared to 7% (response rate ratio of 3.19, p=1.1 x 10-10).
L’annuncio dei dati sulla sopravvivenza era il motivo per cui gli azionisti di Threshold tremavano, visto che da quel punto di vista TH 302 aveva mancato di impressionare, nonostante l’entusiasmo iniziale. Conoscete la vicenda, ne ho parlato spesso e se avete seguito i miei articoli precedenti saprete anche che non sono rimasto impressionato (ragionando da investitore, sia chiaro) dai dati di Celgene.
La fase 2 di Threshold si porta dietro tutti i problemi di uno studio nel quale è concesso ai pazienti del controllo di passare al gruppo attivo. Nel caso specifico sui 69 pazienti iniziali, 26 sono stati assegnati in seguito ai due fìgruppi nei quali si somministrava TH 302: 14 al braccio col farmaco a 240 mg, 12 a quello da 340 mg. Depurando i dati dal cross-over, TH 302 mostra un tasso di sopravvivenza ad un anno (per il dosaggio maggiore) del 38% comparato al 21% del controllo. In tutto e per tutto simile a quello di Abraxane quindi.
La sopravvivenza, sempre in quel braccio e nelle stesse condizioni è di 9,2 mesi vs 6,3 mesi a favore di TH 302, anche qui in linea con i dati di Celgene.
Capite bene che inserire in questo contesto gli 11 mesi di sopravvivenza di Masitinib significa sparigliare le carte. E non di poco. Così come appaia sempre più importante avere un biomarker ad illuminare la via dello sviluppo dei farmaci. Anche Abraxane ne ha uno, ancora da verificare in uno studio registrativo. Sembra che l’elevata espressione di SPARC (secreted protein acidic and rich in cysteine) sia un indice di efficacia notevole per Abraxane che già in fase 2 ha mostrato (su un numero limitato di pazienti) livelli di sopravvivenza stellari rispetto a chi possiede livelli di espressione inferiore (17,8 mesi vs 8,1, p value 0,0431):
In Phase II, almost half of the patients responded (overall response rate was 48% (21/44)) and two-thirds experienced disease control (disease control rate was 68% (30/44)). The median progression-free survival was 7.9 months (95% CI: 5.8, 11.0) and the median overall survival (OS) was 12.2 months (95% CI: 8.9, 17.9). The one-year survival rate for patients was 48%.
Furthermore, levels of secreted protein acidic and rich in crysteine (SPARC) were evaluated in 36 patients. These patients were classified as either “high-SPARC (average z-score greater-than or equal to 0, n=19) or “low-SPARC (average z-score <0, n=17). According to the study, a significant increase in OS was observed for patients in the high-SPARC group versus the low-SPARC group (median 17.8 vs. 8.1 months, p=0.0431). SPARC level remained a significant predictor of OS in a multivariate Cox regression model after adjusting for multiple clinical covariates including gender, race, age, treatment and baseline CA19-9 level (p=0.041). Of note, SPARC in the stroma correlated highly with OS (p=0.013), while SPARC in the tumor cells did not (p=0.15). This is particularly intriguing as SPARC expression in the stroma, but not in the tumor, has been associated with poor survival, suggesting that a unique mechanism of action of ABRAXANE may play a role in this reverse outcome.
Chi riuscirà ad ottenere i risultati di efficacia, ma con un miglior profilo di tollerabilità di FOLFIRINOX porterà a casa gran parte della torta e Celgene ha dalla sua i vantaggi che vi ho detto prima, più un potenziale asso nella manica costituito dal biomarker. A Threshold un biomarker manca, ma ha un partner ricco. Ad AB Science manca un partner con parecchia grana, ma il biomarker l’avrebbe già…
Ciao Alessio… dati molto, molto interessanti presentati ad ESMO12 nel STS in seconda linea, in prima però è ancora da verificare. Il potenziale di una doxo efficace con profilo di sicurezza accettabile è elevato… per i dettagli ti rimando all’articolo scritto a suo tempo:
http://cerealkiller.it/microcap-da-seguire-chi-e-e-cosa-fa-cytrx-cytr/
se serve altro, sai dove trovarmi 😉
ciao C.K., che ne pensi di Cytrx?