Dopo il fallimento dello studio MARQUEE, la messa in pausa dello studio ATTENTION è arrivata la brutta notizia del mancato raggiungimento dell’endpoint primario nella fase 2 nel trattamento del carcinoma metastatico al colon-retto. Questa la notizia:

Daiichi Sankyo Company, Limited (TSE 4568) and ArQule, Inc. (Nasdaq: ARQL) today announced the top-line results of a randomized Phase 2 signal generation trial of tivantinib (ARQ 197) used in combination with irinotecan and cetuximab in patients with refractory or relapsed colorectal cancer (CRC). Although the trial did not meet its primary endpoint of Progression-Free Survival (PFS), the analysis of the patients enrolled (n=122) showed that median PFS was 8.3 months in the experimental arm (patients treated with irinotecan and cetuximab plus tivantinib), compared with 7.3 months in the control arm (patients treated with irinotecan and cetuximab plus placebo) (hazard ratio = 0.85, 95% CI: 0.55, 1.33). Objective Response Rate (ORR), a secondary endpoint, was 45 percent in the experimental arm versus 33 percent in the control arm but was not statistically significant. The PFS results obtained in both the control arm and the experimental arm were longer than expected compared to previously published historical norms.

 

Quello che possiamo già ricavare da queste informazioni è che il tentativo della fase 2 è quello di osservare segnali di attività di tivantinib impiegato assieme ad irinotecan e cetuximab rispetto al placebo. Manca il conforto statistico, ma il trend è favorevole a tivantinib sia in termini di progressione libera da malattia che in termini di risposte. Quello che ancora non ci viene detto riguarda la sopravvivenza, che probabilmente sarà oggetto di discussione ad ASCO con dati sufficientemente maturi. Altra questione in sospeso, la PFS e l’ORR dei pazienti con alta espressione di MET, dato che tivantinib altro non è che un MET inibitore.

Sgombriamo il campo da dubbi, mancare l’endpoint primario è da considerarsi ovviamente un evento estremamente negativo, non voglio convincere nessuno del contrario. Quello che voglio affermare anche questa volta è che forse, dobbiamo guardare al titolo in un ottica differente, dal punto di vista della iena.

Vediamo di capire quanto possa valere Arqule (ARQL) al netto degli insuccessi conseguiti, suddividendo in 3 scomparti il discorso: cassa, tivantinib e resto della pipeline.

Il discorso cassa si esaurisce in fretta: Arqule dovrebbe avere approssimativamente 120 milioni di dollari in cassa assumendo un cash burn rate di poco meno di 40 milioni anno, il che ci porta (con una fase 3 nel trattamento del carcinoma epatocellulare al via) ad avere circa due anni di autonomia sui quali non giurerei e circa 2$/azione di valore sulla quotazione. Alla chiusura di venerdì Arqule (ARQL) capitalizza 160 milioni, il che ci porta ad un valore di 40 milioni di presidenti morti per quanto riguarda tivantinib ed il resto della pipeline.

Tivantinib, il resto della pipeline ed il fallimento statisticamente significativo di MetMab.

Arqule ed il maggior partner nello sviluppo di tivantinib, Daiichi Sankyo sembrano intenzionate a mantenere il timone saldo lungo la rotta dello sviluppo del cMET inibitore nonostante le brusche mareggiate affrontate recentemente. La convinzione sembra essere quella che tivantinib abbia un ruolo di peso nel trattamento di pazienti con alta espressione MET, elemento che finora è stato osservato solo attraverso analisi di sottogruppi di pazienti arruolati in studi nei quali non era richiesto quello status come criterio di inclusione. In poche parole, in mancanza di un metodo credibile per selezionare tali pazienti si è preferito arruolare i soggetti in indicazioni che presumibilmente li avrebbero inclusi in modo elevato. Da qui quindi la scelta di far partire lo studio MARQUEE in pazienti con cancro al polmone (NSCLC), ma solo con istologia non squamosa.

Se quindi la scelta nel caso del NSCLC è stata fatta sull’istologia e questa ha mostrato un vantaggio che possiamo sintetizzare con un hazard ratio di 0,71 a fronte di un endpoint primario non raggiunto nella popolazione ITT, sembra confortante notare che nel trattamento dell’HCC il farmaco di Arqule (ARQL) ha centrato l’endpoint primario ed ha mostrato un beneficio nel sottogruppo di interesse (questa volta definito dal biomarker) che può sempre essere reso in termini di hazard ratio,  ossia  0,45 ed un miglioramento della sopravvivenza di oltre il 60% contro il modesto 12% nel caso del NSCLC ad istologia squamosa.

La fase 3 nel trattamento dell’HCC si fonda quindi sul presupposto che in pazienti con alta espressione MET (Hi MET) tivantinib apporti benefici decisamente elevati. Se questo vale anche per il NSCLC (ma è una ipotesi, non vi sono dati al riguardo) sarebbe lecito attendersi dati peggiori rispetto al controllo in pazienti con bassa espressione MET (lo MET) a giustificazione del fallimento della fase 2 e della fase 3. Come detto, se questi dato non arriveranno dallo studio MARQUEE, rimarremo con questo dubbio, ma qualche elemento di riflessione già lo possediamo. Tanto per cominciare sappiamo che nella fase 2 del trattamento dell’HCC i pazienti con lo MET hanno ottenuto una simile PFS rispetto al controllo ma una peggiore sopravvivenza: soli 5 mesi contro i 9 del gruppo comparatore, quasi la metà.

Altra cosa che sappiamo è che MetMab di Roche, termine di paragone principale di tivantinib, ha fatto registrare valori peggiorativi sia come PFS che come OS nel trattamento del NSCLC (ed in questo caso, diversamente da tivantinib, i dati sono statisticamente significativi), motivo per il quale hanno impostato la fase 3 attorno all’arruolamento esclusivo di pazienti Hi MET, cosa che Arqule non ha fatto per il carcinoma polmonare, ma che sta facendo per l’HCC. Ora, MetMab e tivantinib sono due composti completamente differenti ed il fatto di condividere lo stesso bersaglio non deve farci dimenticare che si parla di un anticorpo monoclonale nel caso di Genentech e di un TK inibitore, ma le somiglianze mi sembrano più rassicuranti di quanto le diversità possano apparire pericolose. Certo, nel caso di tivantinib l’inutilità in pazienti lo MET non è statisticamente significativa, ma il trend è rassicurante. Lo so, è un discorso contorto.

Riprendiamo per un momento la fase 2 di tivantinib nel NSCLC:

PFS mesi OS mesi HR  Pazienti
Non squamose 4,3 vs 2,2 0,71 p=0,12

Cox regression

0,61 p=0,05
9,9 vs 6,8 0,72 p=0,18

Cox regression

0,58 p=0,05
cMET FISH>4 3,6 vs 3,6 0,71 19 e 18
cMET FISH>5 5,6 vs 3,6 0,45 8 e 11
KRAS mut 2,3 vs 1 0,18 10 e 5

Come potete vedere, numero di pazienti limitato, ma dati molto interessanti in un ulteriore sottogruppo di pazienti, quello con mutazione del gene KRAS. Arqule (ARQL) ha in piedi una fase 2 nel tumore al polmone che potrebbe destare qualche sorpresa, in considerazione del fatto che quella indicazione viene già considerata bruciata sia dal mercato che dalla stessa compagnia, che ha in occasione del fallimento della fase MARQUEE dichiarato che il gap con MetMab non è colmabile, al netto di giri di parole.

La fase 2 in questione vede tivantinib e tarceva impegnati in combinazione vs il solo tarceva e, francamente, tolti i dati positivi ricavati da un numero minuscolo di paziente, non trovo un motivo per cui razionalmente pazienti KRAS+ possano trovare un così elevato beneficio dall’aggiunta del MET inibitore.

Assumiamo che l’indicazione del tumore al polmone KRAS+ non abbia alcun valore, quella derivante dall’uso nell’HCC in pazienti Hi MET si può stimare?

A memoria l’annuncio dei risultati della fase 2 consentì al titolo una salita dell’11% della quotazione per una capitalizzazione a fine seduta di circa 360 milioni di dollari. Aggiustando i valori con le azioni attualmente emesse direi che il mercato avesse attribuito circa 0,5$/azione i dati dello studio e sono propenso a credere che siano tutti da indirizzare verso la parte riguardante i pazienti con alta espressione di MET. Aggiungendo questa cifra a quella della cassa si arriva a 2,5$/azione.

Tivantinib è il frutto della piattaforma AKIP, grazie alla quale Arqule è in grado di produrre tirosinchinasi allosteriche (o non ATP competitive). A dirla tutta tivantinib è l’unico MET inibitore non ATP competitivo. Il resto della pipeline di Arqule comprende una licenza (sempre a Daiichi Sankyo) per lo sviluppo di un AKT inibitore (ARQ 092) oltre a due programmi in fase clinica completamente nelle mani di Arqule (ARQL): un KSP ed un BRAF inibitore. Ora, siamo ben lontani da studi registrativi, ma la piattaforma AKIP ha generato tivantinib, quindi penso sia equo assegnare un valore simile a quello che ho attribuito al bersaglio del farmaco principale visto che la selettività (e quindi la tollerabilità del farmaco) sono un frutto di quella tecnologia.

Sommando tutto si arriva a 3$/azione. Venerdì ha chiuso a 2,58$.

Quindi…

Mi aspetterei qualche giornata di assestamento della quotazione, ma i livelli attuali mi sembrano buoni per un ingresso. Il portafoglio virtuale ospita le 1000 prese dopo il crollo legato al fallimento di MARQUEE ed a livello di rischio mi sento di fermarmi qui.

Per chi fosse interessato, le vicende peggiori che potrebbero capitare alla compagnia ora sono l’eventuale restituzione dei diritti di tivantinib da parte di Daiichi Sankyo o dati negativi riguardo i pazienti con Hi MET dello studio MARQUEE. Per il resto, quasi tutti si aspettano solo il peggio dalla compagnia, mi pare che questo sia già scontato nella quotazione attuale.