La doxorubicina è un potente e versatile antitumorale che può venire impiegato in moltissimi tipi di cancro, da quello al seno a quello al fegato, dal sarcoma dei tessuti molli ai linfomi, sia Hodgkin che non Hodgkin e così via… sono pochi i tumori insensibili a questo farmaco. L’effetto citotossico, ossia il danno recato alle cellule  (in questo caso tumorali), è tuttavia esteso anche alle cellule sane; gli eventi avversi sono quelli comuni dei chemioterapici: nausea, perdita dei capelli, infezioni, emorragie e mielosoppressione (ossia le cellule staminali del midollo osseo vengono distrutte, impedendo la formazione di globuli rossi e bianchi e piastrine… normalmente si comincia con la neutropenia, cui poi fa seguito l’anemia). Se conoscete poi il pixantrone di CTIC, saprete che le antracicline portano anche danni cardiaci, se utilizzate in alti dosaggi (è documentato anche l’insorgere di danni cardiaci in bambini sottoposti a trattamento anche dopo anni dalla cessazione dello stesso). Per mitigare gli effetti collaterali della terapia, le industrie farmaceutiche si stanno orientando verso farmaci intelligenti che concentrino la loro attività citotossica solo nella zona colpita da tumore, più il farmaco si dimostra sensibile, meglio è. Uno dei metodi per ridurre gli eventi avversi è quello di racchiudere il farmaco in “microcapsule” di lipidi, di grasso, in modo da rendere l’azione meno tossica nei confronti dei tessuti sani. In Europa abbiamo Myocet e Caelyx, in USA c’è anche Doxil approvato e Thermodox di Celsion in fase 3. Io oggi mi occupo di quest’ultimo (e un po’ anche di Doxil).

Thermodox è coinvolto in una fase 3 nella quale viene associato all’ablazione a radio frequenza in pazienti affetti da epatocarcinoma o tumore primitivo del fegato (studio HEAT) ed in un fase due nella recidiva sulla parete toracica del tumore alla mammella, lo studio DIGNITY. Prima di entrare nello specifico dello studio HEAT, quasi completamente arruolato come potete leggere cliccando qui, una considerazione non da poco: se Thermodox funziona, la tecnologia è espandibile ad una serie molto vasta di applicazioni, e questo è il primo punto di interesse.

Cominciamo col dire qualcosa sull’epatocarcinoma e sulle terapie disponibili. Il tumore primitivo del fegato (Hepato Cellular Carcinoma, o HCC) è la forma maligna più diffusa che interessa quell’organo ed una delle neoplasie maligne più diffuse al mondo. L’incidenza è in aumento, anche in considerazione degli sviluppi della medicina nel trattamento delle cirrosi,  ed è valutabile mediamente attorno ai 15 soggetti colpiti ogni 100.000 abitanti.

Attualmente la migliore terapia sembra essere il trapianto,  in presenza di pazienti con tumori di diametro minore di 3 cm circa, con pochi noduli, che non manifestino trombosi neoplastica o metastasi. Questa soluzione purtroppo presenta due ostacoli difficilmente superabili, in primo luogo la difficoltà di effettuare una diagnosi precoce, per impedire al tumore di estendersi in dimensioni e numero di noduli, in secondo luogo avere a disposizione un numero sufficiente di organi da trapiantare.

Altra opzione è la resezione chirurgica, ossia la rimozione di parte del tessuto. Anche qui ci sono delle limitazioni, in quanto tale approccio alla malattia può  essere impiegato solo in pazienti con una buona funzionalità epatica e con tumori localizzati perifericamente. Come nel caso del trapianto trombosi neoplastica della vena porta o metastasi non consentono di effettuare questo tipo di terapia.

L’iniezione di alcol puro può causare coagulazione  delle cellule tumorali. Al posto dell’alcol si può usare il laser o aghi collegati ad apparecchiature a radiofrequenza che consentono di produrre calore intorno alla loro estremità (termoablazione, ablazione a radio frequenza o RFA Radio Frequency thermal Ablation). Nel 2009 i ricercatori del Seoul Veterans Hospital hanno revisionato 4 trials randomizzati comparando la RFA all’iniezione di Etanolo in 652 pazienti per determinare quale dei due trattamenti fosse superiore. La conclusione è stata che la RFA induce un miglioramento nella sopravvivenza a tre anni dei pazienti con HCC (i dettagli potete trovarli cliccando qui).

Ora, veniamo a ThermoDox. La fase 3 conosciuta come HEAT e quasi completamente arruolata si prefigge lo scopo di verificare se l’aggiunta di Thermodox alla RFA migliori la sopravvivenza libera da malattia rispetto alla sola RFA; in poche parole se con il trattamento combinato si riesca a ritardare il ritorno all’insorgenza di tumori nel fegato nei 600 pazienti investigati, questo perché la RFA non riesce ad attaccare tutte le cellule cancerogene che sono presenti nelle zone circostanti, il tumore quindi ritorna. Lo studio è  doppio cieco (per dirla tutta è più che un doppio cieco, è un double dummy, per ridurre anche il rischio di effetto placebo) ed i pazienti vengono randomizzati in due bracci, uno con ThermoDox e l’altro con placebo; l’endpoint primario, come detto, è la PFS (sopravvivenza libera da malattia) mentre quelli secondari sono la sopravvivenza globale (OS, misurata dalla randomizzazione alla morte o fine dello studio) i PRO (patient-reported outcomes, sono misure della percezione del paziente della propria condizione di salute e concetti molto complessi come la qualità della vita correlata alla salute) oltre al profilo di sicurezza del farmaco. Lo studio è stato condotto sotto Special Protocol Agreement (SPA) cioè in accordo con FDA sulla scelta degli endpoint, sulla conduzione del trial, sul numero di pazienti e così via. Cosa dobbiamo aspettarci da questo studio?

Premesso che riuscire ad uscire in gain prima della comunicazione dei dati è sempre meglio, non conosciamo la data nella quale questo accadrà. I primi dati scaturiranno da un’analisi ad interim (o di futilità) dopo la chiusura dell’arruolamento, e manca poco) e dopo che si saranno misurati 190 eventi di  PFS. Non manca quindi moltissimo e CLSN sta già correndo. I dati di questa fase 3 non li conosciamo, possiamo fare dei ragionamenti sulle scarne informazioni che abbiamo relative a studi precedenti. Nei modelli animali ThermoDox sembra accumularsi nelle zone tumorali in modo efficace mentre in una fase 1 condotta in due ospedali, il cui scopo era determinare il corretto dosaggio del farmaco, il tempo di ricomparsa misurato è stato di 185 giorni fra i pazienti col dosaggio a 50mg, cioè quello della fase 3. Quel trial però comprendeva sia tumori primari che metastatici e nel braccio a 50mg (quello dei 185 giorni) solo un paziente aveva un tumore primario, oltre al fatto che il trial (come normale che sia in queste fasi) non aveva un braccio di controllo. Altri piccoli studi suggeriscono che la combo RFA doxorubicina liposomiale (come il Doxil di cui ho parlato all’inizio) sia preferibile alla RFA da sola, quindi sarebbe lecito aspettarsi dati positivi dalla fase 3.

Gli aspetti negativi? Uno principalmente, la concorrenza. Anzi, 2 concorrenze, una è la chiemioembolizzazione arteriosa transcatetere (TACE) che è stata investigata con risultati contrastanti relativi all’aumento della sopravvivenza e l’altra è quella del Doxil, che in teoria potrebbe svolgere lo stesso compito.

Altri aspetti positivi? Il pelatone ne parla bene e capitalizzano una miseria.

Ma ci sono altri aspetti… diciamo “medi”… mentre vi sto scrivendo CLSN ha battuto nuovamente cassa, da una parte significa che per un po’ non lo faranno, dall’altra che forse un po’ di paura ce l’hanno anche loro e non credono di poter vendere azioni e warrant a prezzi più alti.

Cosa rimane da dire? Thermodox ha ricevuto la fast track e, vista la natura del farmaco, probabilmente (se i dati saranno buoni) andrà per una approvazione sotto 505 (b) (2)… ma qui si parla di eventi ancora lontani…