Ameno che non si tratti di Cocciante, l’indicazione apposta in ogni saloon del vecchio West che si rispetti dovrebbe essere ancora valida: non sparate al pianista. Il pianista sono io, io che vi ho parlato di Calithera. I miei avvertimenti non sono stati abbastanza scoraggianti ed un manipolo di arditi mi ha seguito nell’acquisto del titolo, ora giustamente il dubbio si insinua: ci siamo spinti troppo oltre? Una compagnia il cui ticker è CALA, merita veramente uno sforzo di pazienza e perseveranza, mentre la quotazione altro non fa che tener fede proprio a quel simbolo? Nonostante tutto, io credo ancora che la risposta a queste domande sia si. Vediamo perché.

Calithera ha sostanzialmente tre programmi in pipeline: a livello clinico c’è CB-839, mentre a livello preclinico ci sono CB-1158 (che entrerà in sperimentazione a fine 1q16) ed un poco chiaro programma su esochinasi inibitori. Il primo ed il terzo di questi programmi  ruotano attorno ad un unico centro: il metabolismo del tumore.

Il concetto che sta alla base di tutto risiede nel fatto che le cellule tumorali abbiano un tipo di metabolismo differente rispetto a quelle sane. Una delle possibili spiegazioni di questo fatto potrebbe essere legata alla necessità di far fronte ad una aberrante crescita delle cellule malate, il che richiederebbe un metabolismo particolare, un metabolismo che produca elevati quantitativi di particolari metaboliti o che mantenga le cellule tumorali i uno stato di sopravvivenza, inibendo i meccanismi di difesa dell’ospite. In questi due casi, inibitori come CB-839 entrano in scena, ma serve ancora una piccola premessa per rendere il tutto comprensibile.

Intuitivamente verrebbe da pensare che una cellula che deve riprodursi in modo frenetico e caotico abbia bisogno di un metabolismo altamente efficiente, ma nella realtà la maggior parte delle cellule tumorali non si comporta in questa maniera, anzi.  Le cellule sane del nostro organismo convertono glucosio (o altri nutrienti) in adenosin-trifosfato o più semplicemente ATP (se vi piace la musica rap non potete perdervi quello sul ciclo di Krebs cantato da queste quattro magnifiche ragazze ispaniche). L’ATP fornisce energia all’organismo ed il processo avviene in modo efficiente in presenza di ossigeno, mentre se questo viene a mancare si ha una fermentazione e la quantità di ATP prodotta è estremamente inferiore. Un esempio piuttosto chiaro del rapporto fra tumore e glucosio si ha in un esame che spero nessuno di voi abbia mai avuto la necessità di sostenere: la PET. 

La PET, o tomografia ad emissione di positroni, è un immagine del nostro corpo (o di una porzione di esso) realizzata dopo la’assunzione di una ignobile soluzione di glucosio marcato con radiofarmaci. Il glucosio tenderà ad accumularsi più rapidamente nelle zone nelle quali è presente una massa tumorale proprio perché questi tessuti hanno un enorme bisogno di glucosio. Qui sorge la prima interessante riflessione: se i tumori necessitano di così tanta energia, come fanno a proliferare tanto rapidamente nonostante impieghino un sistema così poco efficiente? 

La spiegazione è piuttosto recente e ci fa capire perché, nonostante si sappia da tempo che le cellule tumorali si comportano in questo modo, solo recentemente il trattamento dei tumori ha preso in considerazione l’idea di attaccare il sistema metabolico delle cellule malate. Il micro-ambiente tumorale è caratterizzato da una vascolarizzazione caotica e conseguenza di ciò è il fatto che ci sia poco ossigeno. Come detto precedentemente questo fa si che la normale respirazione che porta alla formazione di energia sia inibita e che si verifichino processi inefficienti e produzione di metaboliti che però sopperiscono a tale mancanza. La prima conseguenza, dal punto di vista dello sviluppo di trattamenti efficaci contro i tumori, è quella di sfruttare l’ipossia (cioè la mancanza di ossigeno). Un esempio quotato al Nasdaq è quello di Threshold (THLD) e di TH 302. La seconda conseguenza è che si possa tagliare in qualche punto la catena che permette al micro-ambiente di consentire la sopravvivenza del tumore. Calithera offre due possibili soluzioni (scarto le esochinasi perché poco influenti per la valutazione attualmente): la prima è un inibitore della glutaminasi, enzima che catalizza la reazione che porta alla formazione di glutammato, nutriente per le cellule tumorali; la seconda inibisce l’arginasi, che a propria volta causa la deplezione di arginina. Nel primo caso, con CB-839, si tagliano i rifornimenti al tumore, nel secondo caso (con CB-1158) si ripristina la capacità dell’organismo di produrre linfociti T, soldati dell’esercito del sistema immunitario. Metabolismo del tumore ed immunoterapia, due aree di estremo interesse sia scientifico che economico.

CB-839, lo dicono i primi dati diffusi da Calithera, da solo funziona poco. In 18 soggetti affetti la leucemia acuta mieloide (AML) uno solo ha ottenuto una risposta (CRi) e 5 hanno completato più di 4 cicli di trattamento, mentre quando impiegato nel trattamento di tumori solidi il massimo ottenuto è stato una stabilizzazione della malattia. CB-839 è destinato all’impiego in combinazione. Il lato positivo che finora si è potuto osservare è che il farmaco è ben tollerato e non ha dato adito a conseguenze legate al sistema nervoso centrale, aspetto che ha limitato lo stesso tipo di inibitori in passato. La sostanziale mancanza di risposte fra le varie tipologie di tumori sui quali è stato impiegato hanno fatto sgonfiare l’entusiasmo degli investitori che inizialmente vedevano in Calithera una economica alternativa ad Agios (AGIO). Il confronto fra le due compagnie, tuttavia, potrebbe essere fuorviante. Agios, che con AG-221 ha fatto registrare un impressionante tasso di risposta del 40% in soggetti in larga misura affetti da AML recidiva e refrattaria (rrAML), si concentra su una specifica mutazione, inibendo specifici bersagli. Nel caso di AG-221, ad esempio, il target è una mutazione presente in IDH2. IDH sta per isocitrato deidrogenasi (che ai miei tempi memorizzavamo come NAD, se ben ricordo) ed è un enzima coinvolto nel ciclo di Krebs del quale cantavano le quattro rapper che citavo prima. Agios quindi, secondo me, ha un approccio leggermente diverso rispetto a Calithera, un approccio più mirato e più epigenetico, se me lo consentite. Una visione certamente moderna, che prevede una selezione del pazienti attraverso biomarker e che ha una strada ben definita davanti a se; Calithera ha un approccio più conservatore, più vecchio stile, ma ha il vantaggio di avere meno limitazioni circa l’impiego, non dovendo sottostare a restrizioni in base a particolari popolazioni. Questo, ovviamente, fino a quando non dovessero scovare un  biomarker valido. Tutto questo sta in piedi ad una condizione: che il farmaco funzioni. Detto che come agente singolo arranca, chi mi ha seguito in questa rischiosa avventura sa che si attendono dati circa l’uso in combo, in particolare su tumori solidi quali il carcinoma mammario triplo negativo (TNBC). Esiste un motivo per essere ottimisti riguardo l’esito in combo? Ovviamente si.

Tanto per iniziare finora CB-839 è stato testato in diverse combinazioni di dosaggio e schedule, il che in genere annacqua i risultati. Inoltre, a livello preclinico, le combinazioni testate hanno dato adito ad un certo ottimismo. Altri due aspetti interessanti: in primo luogo, dal punto di vista scientifico, l’impiego di un inibitore della glutaminasi ha senso; in secondo luogo, è rassicurante pensare che alla guida di questa compagnia, negli aspetti che contano, ci siano persone di provata esperienza. Si tratta degli stessi soggetti che hanno cavato dal cappello a cilindro di Proteolix il coniglio Kyprolis. Chiaramente questo non garantisce il successo di CB-839 e del resto della pipeline, ma un minimo di credenziali male non fa.

A tutto questo, che poi è il succo della decisione di aprire una posizione in Calithera (diciamo della componente razionale), va aggiunto quanto accaduto recentemente, ossia la selezione del primo candidato per il programma di immuno-oncologia, il già citato CB-1158. Qui il discorso è forse ancora più intrigante, ma devo prima farvi una premessa: anche in questo caso non aspettatevi un farmaco che funzioni da solo.

CB-1158 funziona inibendo l’arginasi che viene secreta dalle cellule mieloidi soppressorie. Non venisse inibito l’enzima causerebbe la distruzione di arginina, la quale a sua volta serve a dare impulso alla produzione di linfociti T, necessari per far montare la risposta immunitaria. Il processo sembra complicato, in realtà ha una certa linearità e, soprattutto, una possibile validazione in una classe di inibitori già abbastanza sperimentata: gli IDO inibitori. L’indoleamina 2,3 diossigenasi (più semplicemente IDO) è un enzima che fa da catalizzatore per il catabolismo del triptofano, ossia aiuta la sua distruzione. La mancanza di triptofano ha come diretta conseguenza il fatto che venga a mancare un fattore importante per la proliferazione di linfociti T. Si arriva quindi, partendo da due stimoli diversi, alla stessa conclusione: inibire ciò che causa una inefficiente produzione di linfociti T. Gli IDO inibitori stanno riscuotendo successo nonostante da soli servano praticamente a poco, quindi mi aspetto lo stesso tipo di efficacia da CB-1158, ma anche un simile interesse da parte di qualche potenziale partner. Sulla base delle prime evidenza sembra che l’espressione di IDO e di arginasi I non avvenga simultaneamente, il che lascerebbe supporre che IDO inibitori e CB-1158 potrebbero non entrare mai in diretta competizione.

CB-1158 entrerà in sperimentazione il prossimo anno, presumibilmente in 2q16, ma non è detto che si debba attendere di avere i primi dati per strappare una collaborazione, anche se è estremamente probabile. Epacadostat, il precursore degli IDO inibitori attualmente in sperimentazione, ha inizialmente fatto strabuzzare gli occhi ai proprietari di Incyte (INCY), occhi che poi hanno visto evaporare gran parte dell’entusiasmo sulla graticola del rotondo zero percento di ORR fatto registrare in clinica, quando epacadostat viene impiegato da solo. Nonostante il risultato poco incoraggiante della mancanza di risposte, pur condito da diverse stabilizzazioni della malattia (vi ricorda qualcosa?), l’inibizione di IDO era stata raggiunta, serviva solo una stampella. In combo le cose migliorano ed ora epacadostat è sperimentato con anti-PD1 (pembrolizumab e nivolumab) e con anti-PDL1 (MEDI4736 e MPDL3280A) in svariate forme tumorali, sia solide che liquide. La palma di prima small cap a trovare un partner per un IDOi però spetta a NewLink (NLNK) che ne ha due in pipeline: Indoximod (che per la verità è un simil-IDO inibitore, ma questa è un’altra storia) e NLG-919, che ora ha trovato casa presso Roche. L’interesse non manca, come vi dicevo, se è vero che recentemente Bristol-Myers Squibb ha messo mano al portafoglio per concludere l’acquisizione di Flexus Biosciences e del loro programma sull’inibizione di IDO per un accordo dal valore potenziale di 1,2 miliardi di dollari.

La compagnia, con questo secondo programma, mitiga il rischio per gli investitori, proponendo due progetti che hanno di certo un grande appeal, eppure, nonostante questo, il mercato odia Calithera. L’investitore rischioso e lungimirante può contare sull’evento binario garantito dai dati della combo con CB-839 e sul fatto che in cassa a marzo avessero oltre 90M$ (a ieri la capitalizzazione era di 120M$) e su un futuro che potrebbe avere solide basi. L’orizzonte temporale è da collocarsi nel 2016, ma se non avete fretta e non vi fate spaventare facilmente, affamare i tumori oggi potrebbe sfamare gli investitori un domani.