Good. Bad. I’m the Guy with the Gun.

(Ashley ‘Ash’ J. Williams, Army of Darkness)

 

ASCO14 è da ricordare come l’edizione della definitiva incoronazione degli immunoterapici quali farmaci più importanti, finché ci si limita ai tumori solidi. Se nelle scorse edizioni Nivolumab di Bristol-Myers Squibb l’aveva fatta da padrone ed era la novità , la next big thing, quest’anno la competizione è feroce e si è allargata a dismisura? C’è un vincitore? Si, più di uno, sono i pazienti.

 


 

 

Immuno/oncologia.

 

Nivolumab e Pembrolizumab (AKA MK-3475) hanno dato battaglia e si contendono la palma di primo anti-PD1/PDL1 a giungere sul mercato, sfida che nel caso del trattamento del melanoma assume connotazione veramente significative. Il melanoma infatti, fino a pochissimi anni fa, era una di quelle indicazioni per cui esisteva un disperato bisogno di nuove terapie. Ad oggi la battaglia contro questo terribile emico non pu certo considerarsi vinta, ma il numero di nuovi agenti arrivati sul mercato e nella pratica clinica è impressionante. Yervoy, Zelboraf, Mekinist, Tafinlar. Se si esclude Yeroy, gli altri farmaci si rivolgono a pazienti con specifiche mutazioni, quindi i dati di Nivo sono stati visti come un progresso notevole per il trattamento del melanoma e di altre forme tumorali. Questo nel 2012 e nel 2013. ASCO14 racconta di un testa a testa nel quale si fatica a scorgere un vincitore. Sempre rimanendo nell’ambito di questa condizione Merck ha riportato dati relativi ad una fase 2 che ha incluso 411 pazienti, 135 dei quali assegnati a diverse coorti nella fase dedicata a trovare dosaggio e schedule e ottimale e 276 nella fase randomizzata con due gruppi che hanno ricevuto pembrolizumab a 10 o a 2 mg/kg. La fase randomizzata ha incluso pazienti che avevano ricevuto precedentemente Yervoy e, nel caso di presenza di mutazione, un  BRAF inibitore. I risultati parlano di un ORR del 34% sula popolazione ITT con un 5% di risposte complete (CR). In pazienti Yervoy naïve il tasso di risposta è stato del 40% con un 8% di CR mentre ci si è fermati ad un 28% di ORR in soggetti precedentemente trattati con Yervoy (2%n di CR). Il trend sembra a favore del dosaggio a 10mg rispetto a quello a 2mg, tuttavia dall’analisi dei dati non emerge un dosaggio o una frequenza di somministrazione particolarmente efficace rispetto alle altre, elemento che mi lascia un po’ perplesso

La durata mediana delle risposte non è stata ancora raggiunta mentre la mPFS è stata di 5,5 mesi per la popolazione ITT, 5,6 mesi per i naïve a Yervoy e 5,4 per chi invece aveva già ricevuto il CTLA4 inibitore.

Difficile fare un confronto serio e ponderato con Nivolumab, quello che mi pare chiaro però è che BMS ha i vantaggio di aver puntato sulle prima linee di trattamento in fase 3, il che potrebbe lasciare a Merck uno spazio solo nelle linne successive su pazienti recidivi  refrattari. Se le due fasi 3 di BMS su pazienti con nuova diagnosi o refrattari dovessero concludersi positivamente il compito di Pembrolizumab sarebbe decisamente arduo. Merck ha scelto di sfidare Yervoy in una fase 3 iniziata lo scorso settembre che includerà pazienti in prima o seconda linea. La scelta è stata obbligata, ma il vero metro di paragone probabilmente non sarà più Yervoy, ma la combinazione di quest’ultimo con Nivolumab, combo che ha già fatto registrare numeri impressionanti.

Dove Nivolumab comincia a mostrare il fianco, consentendo a chi sta dietro di avere margine di miglioramento al di la dell’efficacia, è nel profilo di sicurezza. Chiaramente quando si parla di oncologia è da valutare il rapporto rischio/beneficio, ma alcune indicazioni si possono già trarre. Ho detto in diverse occasioni che il futuro dell’immuno/oncologia è nelle combinazioni? Bene, Nivo ha mostrato cenni di tossicità nel trattamento del carcinoma ovarico, ma il rapporto rischio/beneficio è comunque a favore dell’anti-PD1. Nel caso del carcinoma renale i dati sembrano interessanti quando l farmaco viene somministrato come single agent, in combo iniziano ad esserci problemi di tossicità. 

Pembrolizumab ha fatto scintille nel trattamento del tumore del collo e della testa, specialmente in una popolazione identificata grazie all’iper-espressione di PD-L1, laddove il farmaco di Merck ha permesso di risurre il tumore nel 45% dei casi. Sfortunatamente, l’espressione così alta della proteina si verifica in un paziente su 5, il che restringe l’impiego in modo drammatico.

Sembra emergere invece un vincitore chiaro nel trattamento del cancro della vescica, grazie ad un altro anti-PD-L1. A coronare lo sforzo di Roche arriva ad ASCO14 la designazione a Breakthrough Therapy per MPDL3280A che in fase 1 ha permesso di ottenere un tasso di risposta del 43% in soggetti con espressione positiva di PD-L1, individuati grazie ad un test sviluppato dalla stessa azienda svizzera. Quello che rende il tutto più meritevole di attenzione è che le risposte sembrano essere durature (elemento chiave per un I/O) e che l’indicazione ha un disperato bisogno di nuove terapie poiché negli ultimi 30 anni i progressi sono stati praticamente inesistenti. E’ la condizione nella quale si trovava il trattamento del melanoma pochi anni fa.

Sempre Roche, ma altro tipo di impatto, i dati dell’anti-CSF-1R  RG7155 nel trattamento della sinovite villo-nodulare pigmentosa (PVNS per gli anglofoni) che ha ottenuto l’83% di tasso di risposta su 18 pazienti in fase 1. Perché mi interessa questo studio? Perché ho Five Prime Therapeutics in portafoglio e anche loro hanno un anti-CSF1R in sviluppo, anche se hanno scelto di optare per altre indicazioni.

A margine di quello che combinano le Big, ci sono poi storie piuttosto curiose.

Oncothyreon  (ONTY) e  Celldex Therapeutics (CLDX) uniscono forze e pipeline per testare ONT-10 e varlilumab, ex CDX-1127, nel trattamento di pazienti con cancro al seno o carcinoma ovarico. La mossa parte dal quartiere generale di Oncothyreon, che pagherà le spese della sperimentazione. Io vedo questa mossa come un tentativo di ingolosire Merck, che mantiene un diritto di prelazione sul vaccino. Vi avevo già parlato dell’importanza strategica di ONT-10 anche nell’articolo sulle prime impressioni che avevo ricavato dopo il rilascio degli abstract di questa edizione di ASCO, questa mossa non fa che confermare la tesi che vuole Oncothyreon un buon investimento, indipendentemente da ARRY-380.


TKi e affini.

 

Successo evidente per Imbruvica di Pharmacyclics e Johnson & Johnson. Dopo un follow up mediano di meno di 10 mesi il Btk inibitore aumenta in modo esponenziale il ritardo nella progressione della malattia (HR= 0,22 e p value di 0,005) in pazienti con CLL rispetto a ofatumumab. Impressionante anche il vantaggio rispetto al controllo per quanto riguarda la sopravvivenza (HR = 0,43 p value=0,005).

Più complicata al questione che vede Clovis vs AstraZeneca in soggetti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) con mutazione T790M. Clovis ha reso noto che alcuni pazienti che stanno assumendo CO-1686 hanno avuto necessità di assumere insulina, evento che ha subito fatto prendere una piega drammatica alla quotazione del tittolo e pendere la bilancia del mercato (e degli analisti) a favore del primo concorrente diretto: AZD9291 di AstraZeneca. In realtà la reazione mi pare spropositata, il che fa di Clovis un possibile bersaglio per un futuro investimento, ma ne riparlerò in seguito

Anche sul versante PARP inibitori, la guerra fra AstraZeneca e Clovis è accesa. Gli inglesi hanno riportato una vittoria in una battaglia condotta dal NCI nel primo studio a somministrare una combo esclusivamente orale in soggetti con carcinoma ovarico. Olparib e cediranib (VEGFRi) hanno ottenuto un valore quasi doppio di sopravvivenza libera da malattia rispetto all’impiego del solo olaparib. 

Fra le small e le medium cap menzione d’onore ad Ariad (ARIA), sia per i dati di Iclusig nel trattamento dei GIST (tumore stromale gastro-intestinale) sia grazie alle continue voci di possibili acquisizioni, questa volta da parte di Glaxo. Ora, GSK ha quasi abdicato, per quel che riguarda l’oncologia, cedendo il pacchetto più avanzato a Novartis, che vada a prendere Ariad mi pare poco credibile. Bene per gli azionisti comunque. 

Nei pazienti con GIST  e mutazione KIT, per tornare a temi più concreti, Iclusig ha permesso di ottenere un tasso di risposta del 50% su 22 pazienti. Dopo 6 mesi di follow up il 40% degli arruolati rimane ancora in trattamento, questo significa che riceve il farmaco da più di 6 mesi. Ora, i trial è in aperto, senza randomizzazione e mancano dati relativi a sopravvivenza, tuttavia è interessante notare che anche in condizioni di dosaggio inferiore Iclusig mantiene una certa efficacia. altro aspetto interessante è che sembrerebbe esserci una popolazione che meglio reagisce al farmaco e che questo sia coerente con il meccanismo d’azione di ponatinib.

Molto interessante anche DNIB0600A, ADC targato Genentech costruito grazie alla tecnologia di Seattle Genetics (SGEN). In fase 1 su soggetti con NSCLC e carcinoma ovarico platino resistente l’anti-NaPi2b che porta con se il citotossico MMAE ha permesso di ottenere risposte parziali confermate nel 41% di pazienti con carcinoma ovarico. Al momento DNIB0600A si trova in fase 2 nel trattamento del carcinoma ovarico. 

 


 

 

… and the winner is: Ignyta (RXDX).

 

 

Ve ne avevo già parlato come di un possibile fiore all’occhiello per questo ASCO14 ed il +12% di ieri lo conferma. Ignyta iignyta rxdx asco14llustra i dati di RXDX-101 mettendo l’accento sul fatto che l’unico paziente con Trka alterato trattato con il farmaco ha ottenuto una risposta parziale, che non è stata ancora determinata nessuna DLT ne tanto meno si sono verificati eventi avversi gravi attribuibili al farmaco. La cosa più inyrigante però è che si sono ottenute risposte parziali in 3 tipi di mutazione diversa: TrkA, ROS1 ed ALK. Ora, magari potrebbe non interessarvi nulla di Ignyta se avete un portafoglio USA simile al mio, magari invece si. Sapete chi ha un TRK inibitore in faretra? Ovviamente Array Biopharma…