Grazie della domanda: l‘Effetto Cheerleader, anche conosciuto come Paradosso della Damigella d’Onore o, per un breve periodo negli anni 90, con il nome di Cospirazione delle Spice Girls, è quel fenomeno per il quale una donna appare attarente all’interno di un gruppo ma al di fuori di quel contesto il suo fascino scompare. Si tratta di scienza, cari miei.

Oggi voglio capire se l’Effetto Cheerleader può essere impiegato in ambito biotech utilizzando i recenti dati che hanno permesso ad Affimed di guadagnare il 70% negli ultimi giorni. Nel caso ve li siate persi, riassumo il tutto in poche righe:

Best response preliminary assessment data from 9 patients treated at the highest AFM13 dose level (7 mg/kg) as reported by central read, showed an objective response rate (ORR) of 89% (8/9), including complete metabolic responses (CmR) in 44% (4/9) and partial metabolic responses (PmRs) in 44% (4/9) of patients. One patient experienced stable disease (SD). This ORR of 89% compared favorably to the historical ORR of Keytruda (58-63%) as monotherapy in a similar patient population. Namely, these patients were R/R HL and post autologous stem cell transplantation (ASCT) or ineligible for ASCT and had failed brentuximab vedotin (BV). Importantly, the reported CR rate of 44% represents a doubled CR rate compared to previously reported anti-PD1 studies (9-22%).

Tradotto significa che AFM13 somministrato assieme a pembrolizumab (ossia Keytruda) di Merck su 9 pazienti con linfoma di Hodgkin recidivo/refrattario (rrHL) ha permesso di raggiungere un tasso di risposta dell’89%, comprese 4 risposte metaboliche complete e 4 parziali. Stando alla PR di Affimed i dati sembrano mostrare un effetto sinergico fra i due anticorpi, dato che storicamente Keytruda produce un tasso di risposta fra il 58 ed il 63% in una popolazione simile. Questi dati sono positivi, è innegabile, come è innegabile che Hannibal Chau tenga le redini del mercato nero dei reperti Kaiju ad Hong Kong.

Non è il solo risultato comunicato dalla compagnia:

In an ongoing investigator-sponsored Phase 1b/2a trial of AFM13 in CD30-positive lymphoma with cutaneous manifestation led by Columbia University Medical Center, an analysis of the first dose cohort (3 patients dosed at 1.5 mg/kg) has been completed. The data demonstrated that AFM13 could be safely administered and showed therapeutic activity as a single agent, with an ORR of 66% (2/3). In detail, one complete response (CR), one partial response (PR) and one stable disease (SD) were observed, as determined by global response score (GRS).

Anche in questo caso i dati sono positivi, anche se confinati in un numero di pazienti piuttosto basso. Considerando il dosaggio, non si sarebbe potuto chiedere di più.

Nemmeno il tempo di metabolizzare la festa per il guadagno del titolo sul mercato che arriva subito una doccia fredda per gli investitori: approfittando dell’euforia Affimed diluisce il proprio capitale emettendo nuove azioni. Ci sta, ovviamente, il tempismo è perfetto dal punto di vista della compagnia, gli investitori invece preferirebbero vedere accordi con pagamenti in upfront che portano cassa senza annacquare la capitalizzazione della società. La domanda è la seguente: Affimed ritiene saggio attendere il partner giusto o non trova nessuno? Questi ultimi dati possono servire da esca per una Big?

Iniziamo dallo studio sul CTCL (linfoma cutaneo a cellule T). Va innanzitutto precisato che i dettagli forniti sono scarni, a partire dalla tipologia di pazienti arruolata. La mggior parte dei dati possono essere ricavati da clinicaltrials.gov, ma non aiutano molto la causa. CTCL è una patologia molto eterogenea per la quale le opzioni terapeutiche da seguire sono molteplici e spesso sconfinano in quelle che sono le pratiche per trattare pazienti con altri tipi di linfomi. Nelle fasi più avanzate della malattia, oltre a chemio e radiazioni, si fa ricorso a farmaci quali Bortezomib (Velcade), Folotyn, Istodax e Zolinza. Se analizziamo il successo di terapie mirate al trattamento dal punto di vista economico ci accorgeremo che non c’è molto da essere ottimisti, il mercato è ristretto ed il fatto di avere come sbocco principale i pazienti CD30+ non aiuta di certo. La mia modesta opinione è che i dati di AFM13  inerenti CTCL non siano di interesse, ne per gli investitori nel per un possibile partner. Un partner decente, intendo.

Che dire però di quelli riguardanti AFM13 e Keytruda? Anche in questo caso è lecito avere dubbi sull’entità del mercato disponibile per AFM13 e questo per due motivi: in primo luogo per il numero di pazienti trattabili ed in secondo luogo per la concorrenza di Adcetris, ADC anti-CD30 di Seattle Genetics. I soldi veri, nell’ambito del linfoma di Hodgkins si fanno nelle prime linee terapeutiche. I pazienti arruolati nello studio che vede AFM13 somministrato in combo con Keytruda sono recidvi/refrattari ai trattamenti disponibili, ivi incluso Adcetris. Considerando una popolazioni costituita da pazienti in terza linea e post trapianto ritengo che difficilmente si potrebbero raggiungere cifre superiori a $150-200M e questo, sia ben inteso, considerando sia il mercato USA che quello EU. Le buone notizie però potrebbero essere due: in primo luogo, dimostrarsi combinabile in modo proficuo e indolore a Keytruda potrebbe essere un buon viatico per estendere l’attività (e di conseguenza il mercato) di AFM13, la seconda è che in ogni caso $150-200M per una compagnia che capitalizza circa $100M sono cifre interessanti.

Effetto Cheerleader quindi?

Forse non del tutto. Il bilancio, a conti fatti, risulta essere comunque positivo. A mio modo di vedere ora Affimed ha una cassa solida sulla quale stare appollaiata, in attesa che AFM11 dia segni di vita (e credo ci vorrà ancora tempo) e che i programmi più acerbi guadagnino attenzione. Perché è proprio in questi ultimi che Affimed ha la possibilità di trarre maggior beneficio. AFM24 ed AFM26 sono promettenti e lo stesso si potrebbe dire del programma in “partnership” con Amphivena (ho messo la parola partnership fra virgolette perché Affimed controlla il 18% circa di Amphivena). Questo indirettamente viene messo in evidenza anche da Amgen e dalla recente volontà di dare seguito ai programmi derivanti dall’acquisizione di Micromet, compagnia tedesca che i più vecchi lettori del blog ricorderanno con affetto. Nell’immagine seguente trovate sintetizzate le aspettative derivanti dai prodotti sviluppati grazie alla piattaforma BiTE, anticorpi bispecifici che hanno notevoli somiglianze rispetto a quelli generati da Affimed, compresi alcuni target come CD19, CD33 e BCMA.

Affimed però potrebbe anche puntare su un secondo tipo di approccio. Se gli anticorpi bispecifici vengono generalmente considerati una forma di terapia CAR-T alternativa (chiaramente per quelli che hanno CD3 come target e principalmente a causa di Blincyto) il programma inerente i complessi MHC potrebbe essere l’occasione per Affimed di smetterla di inseguire ed mettere la freccia. Non che si tratti di una vera e propria novità (tanto per rimanere in ambito di small cap si può citare Adaptimmune come compagnia di riferimento), ma la concorrenza in questo caso sarebbe meno feroce al momento. Considerando che la stragrande maggioranza degli antigeni (circa l’80%) sono intracellulari, questo tipo di approccio potrebbe estendere l’efficacia di terapie che sfruttano il sistema immunitario del paziente verso tumori che le terapie CAR-T finora non sono riuscite a trattare, ossia quelli solidi. Le conseguenze, dal punto di vista di Affimed, potrebbero essere estremamente vantaggiose, chiaramente. Requisito fondamentale per il sorpasso, che il management capisca che è ora di schiacciare sul pedale dell’acceleratore.